30 DAYS IN VR | INTERVISTA A ENEA LEFONS

È marzo 2018 quando Enea LeFons dà vita al progetto “30 days in VR” in un appartamento art déco di Torino. Grazie alle più sofisticate tecnologie di virtual reality, il programmatore-designer è il primo uomo ad aver provato a immergersi in un mondo parallelo per un mese, vivendo 24 ore su 24 – e contro qualsivoglia visione distopica – in una dimensione virtuale.
La redazione di TBD lo ha intervistato per conoscere qual è il suo punto di vista sul rapporto uomo-arte-tecnologia, per scoprire in quale direzione sta evolvendo ora il progetto e quali possono essere le sue implicazioni nel reale. Segue l’intervista.

MINI GLOSSARIO

Augmented reality (AR)

La realtà aumentata amplifica il mondo reale con la sovrapposizione di contenuti digitali all’ambiente. Sull’immagine di partenza – la realtà che ci circonda- vengono aggiunti livelli di informazione (immagini o testi) che aumentano contestualmente il nostro stato di presenza. Per utilizzarla è sufficiente avere un’app di AR sul proprio smartphone oppure sistemi più sofisticati come Microsoft Hololens, Magic Leap, Google Glasses.

Augmenting Furniture

Cross reality (X o XR)

La X-Reality (o cross reality) rappresenta un contesto dove convivono realtà fisica, realtà virtuale (VR), realtà aumentata (AR) o realtà mista (MR), grazie a strumenti hardware, software e sensori che consentono di portare il mondo digitale nel mondo reale, ma anche il mondo reale nel mondo digitale.

Creating Earth in VR

Virtual reality (VR)

La realtà virtuale è un ambiente digitale che ci “teletrasporta” altrove, in una realtà diversa da quella che stiamo vivendo. Grazie ai visori, l’ambiente di fronte a noi viene “cancellato” e sostituito da ambienti potenzialmente infiniti, nei quali possiamo muoverci liberamente. Tali ambienti vengono realizzati attraverso telecamere 360, oppure completamente sintetici, grazie all’uso della grafica 3D. Per utilizzare questa tecnologia sono necessari dei visori come Oculus Rift o HTC Vive, Oculus Go, Samsung Gear VR e i VR Cardboard uniti ad uno smartphone.

Building Yoga Space

Ci piacerebbe cominciare con una panoramica su di te, come sei arrivato all’esperienza dei 30 giorni in VR? Qual è il tuo percorso?

Ho iniziato ad affacciarmi alla realtà virtuale e al 3D nel 1997, da autodidatta. Volevo creare videogiochi ed esperienze interattive e in Italia non c’era ancora un ecosistema adatto, così, dopo 2 anni di gavetta nella previsualizzazione architettonica 3D, tra le realtà allora esistenti ho individuato Studio Azzurro e mi sono proposto di collaborare con loro, prima a livello di previsualizzazione progettuale e creazione di contributi tridimensionali video per le installazioni e poi a livello di avatar motion capture ed installazioni interattive. Dopo questa esperienza ho iniziato a progettare videogiochi ed effetti speciali in 3D con Softimage, software di cui successivamente sono diventato distributore e trainer. Così ho iniziato a girare per il mondo: come freelance ho lavorato con musica, ologrammi e installazioni 3D interattive; poi, otto o nove anni fa, sono approdato all’architettura e design virtuale. Dopo un anno in Epic Games, nel team fondativo della sezione enterprise, ho deciso di prendere due o tre mesi di studio e riflessione su come come la nuova onda di realtà virtuale si stava sviluppando nella ricerca e nel mercato globale, riconoscendo gli stessi schemi e modalità della prima ondata all’inizio degli anni 90, ho iniziato a scrivere il progetto dei 30 giorni in VR, con l’auspicio di fornire nuove dimensioni di riflessione. 

Hai avuto da subito un’idea precisa di come sviluppare il progetto dei “30 giorni”?

Inizialmente ho pensato di realizzarlo come performance da solo, sotto forma di ritiro ascetico virtuale. Poi ho intercettato un tweet di Alvin Wang Graylin, presidente di HTC VIVE Cina che faceva dieci previsioni su quello che sarebbe presto successo nell’ambito della realtà virtuale, e diceva che entro il 2019 qualcuno avrebbe passato 30 giorni in realtà virtuale. Detto fatto: ho finito di scrivere la proposta, mi sono presentato e abbiamo iniziato a prendere accordi. A dire il vero c’è stato anche un bando pubblico cui hanno partecipato altri enti, ma poi hanno ugualmente selezionato il mio progetto. 

Provieni da un ambito commerciale e dall’industria creativa del design e del videogioco, ma poco fa parlavi della tua esperienza come di una performance. Sicuramente c’è uno stretto contatto con l’arte, hai cominciato con Studio Azzurro, ora approdi qui, a Casa degli Artisti… Come vedi la tua relazione con gli artisti e come leggi questo tuo progetto in relazione al mondo dell’arte? 

Io mi vedo come un facilitatore tecnologico nei confronti degli artisti. Sono molto sensibile all’idea di transumanesimo, una forma di ascensione, un’opportunità di trascendere i limiti della mente e del corpo, un’amplificazione del potenziale umano. La mia è una performance antidistopica: le stesse tecnologie e i codici open source sviluppati da programmatori idealisti degli ultimi quindici anni sono stati incorporati in visioni commerciali, consumistiche, pubblicitarie. Il transumanesimo, la realtà aumentata e il virtuale possono essere usate meglio di così e non solo per rafforzare al meglio il sistema ed amplificare lo status-quo. Ho deciso di metterci il corpo e la faccia e di realizzare un’esperienza che fosse uno statement totale.
Sono un cybernauta che si presta a facilitare gli artisti perché possano sfruttare consapevolmente questa tecnologia per la loro ispirazione e la loro pratica, in un contesto in cui il soldo e il prodotto da vendere non siano il fine ultimo. Le loro azioni potranno portare un’idea più positiva, produttiva e collaborativa dell’utilizzo di tale tecnologia. Questi sono strumenti che hanno un immenso potenziale creativo e di connessione e non dovrebbero essere utilizzati solo con un fine di perpetrazione del consumismo e di controllo.

Entriamo nel vivo dei 30 giorni in VR: quando hai deciso di fare il progetto, ti avevano proposto una stanza chiusa. Perché hai rifiutato? Quali erano le condizioni? 

Mi avevano proposto di farlo in Cina, in una stanza chiusa, un cubo verde. Mi sono preso qualche giorno a Torino per riflettere sul da farsi con altri 3D hacker con i quali condivido l’impianto etico ed abbiamo individuato un posto da proporre come alternativa, un appartamento art déco in Via Po. Dal look assolutamente non tecnologico. Per me era un aspetto fondamentale per attutire l’ “effetto distopia” dell’uomo tutto cavi e plastica nel cubo verde, controllato da un medico in camice bianco – era proprio un’idea che non volevo trasmettere. Ho fatto lo stesso ragionamento anche sulle attività: invece di duettare a distanza con una pop star cinese e cimentarmi in recensioni di videogames, come mi aveva controproposto ad un certo punto il team PR dello sponsor, ho suggerito invece che l’immersione VR sarebbe stata utile per mostrare che si possono rimpiazzare tutti gli strumenti che usiamo in digitale dentro la realtà virtuale, per creare un precedente e vedere fin dove possiamo spingere i limiti della tecnologia. Volevo inoltre investigare l’utilizzo del visore VR per aiutare nella concentrazione, nella meditazione, nello yoga, nella creazione musicale, di architetture modulari native VR e durante il sonno. Usare il caschetto per molto tempo inizialmente mi portava a muovermi poco perché il sistema di interazione è in genere il teletrasporto, quindi ho preparato una soluzione alternativa “run in place” che mi permettesse di camminare e correre sul posto per muovermi nello spazio virtuale.
Gli operatori mi controllavano 24/7 con dei fitbit. Ho evitato di teletrasportarmi, loro mi apparivano nello spazio virtuale sotto forma di avatar. A volte senza avvertire… Mi sono preso degli spaventi con quelle sagome bianche!

Per immergerti in VR hai tracciato quasi tutti gli oggetti della stanza. Quel che hai creato è un vero e proprio ambiente sinestetico: non solo vedevi tutto, ma potevi anche toccare, ascoltare etc.

Esattamente, ho ricreato la stanza intera in realtà virtuale. A dire il vero era più una cross reality, perché potevo toccare gli oggetti che erano effettivamente nella stanza. Anche in questo caso ho messo in atto alcuni stratagemmi per sopravvivere così tanti giorni. Ho deciso ad esempio di eliminare il piu’ possibile l’utilizzo dei “joystick”, con i quali normalmente “afferri” gli oggetti. Tutto questo ha reso più sensato l’esperimento. Prima di me l’aeronautica cinese aveva già provato a tenere delle persone immerse nella realtà virtuale per tanto tempo, ma favorendo l’approccio asettico del green cube. Proprio alla luce di questi esempi ho giustificato la mia scelta dell’appartamento: nessuno riuscirebbe a stare bene in un cubo senza stimoli tattili ed olfattivi per tanto tempo, bisognava armonizzare la realtà e il virtuale. In cross reality tutta la stanza è riprodotta in virtuale e ti puoi muovere al suo interno, anche toccando gli oggetti indossando il casco, bevendo un calice di vino, fumando una sigaretta etc.
Fondamentalmente ho messo in atto decisioni di design dell’esperienza volte a portare l’essere umano nella realtà virtuale facendolo stare il più possibile a suo agio.

Pensando al fenomeno dell’immersività, e a come viene declinato all’interno di questo numero di TBD, quel che risulta interessante è proprio il rapporto di sovrapposizione e commistione tra realtà e realtà virtuale, contesti che nell’immaginario comune vengono considerati più in opposizione tra loro o, nel migliore dei casi, in un parallelismo costante. Come si può combattere, secondo te, l’idea distopica di questa tecnologia?

In breve: integrazione, e non sostituzione. In quanto modellatore e grafico 3D, per me avere a disposizione uno spazio tridimensionale virtuale per lavorare significa poter sfruttare la profondità e non soltanto la bidimensionalità su uno schermo. Computare e disegnare, portare delle idee lavorando anche su questo asse è un’opportunità straordinaria anche per scultori, architetti, designer e artisti in genere. Ciò a cui sto lavorando non deve diventare un videogioco con cui ti chiudi in stanza, ma qualcosa che aumenta le tue potenzialità. Purtroppo oggi il mercato si sta molto concentrando sulla dimensione del videogioco e della segmentazione dell’esperienza in apps monouso, per vendere al pubblico più ampio nel minor tempo possibile. 

Con queste motivazioni e obiettivi, come vedi il tuo esperimento in una chiave più accessibile? Quale immagini possa essere un utilizzo concreto e reale di quello che tu hai sperimentato nel quotidiano in quei 30 giorni? Secondo la tua esperienza cosa avverrà nel breve periodo?

L’utilizzo più spontaneo e l’evoluzione più naturale della sperimentazione consiste nell’interazione con gli artisti. Con questo metodo gli artisti possono sperimentare senza dover sprecare materiale, come se avessero a disposizione un ambiente di sviluppo olografico, uno spazio creativo potenzialmente infinito, a rischio zero, senza sprechi e senza limiti di dimensioni e disponibilità di strumenti e materiali. Finora è un progetto che è stato molto ben accolto da ricercatori e studiosi, mentre il mercato tira ancora da un’altra parte.
Da qua a dieci anni immagino che la realtà aumentata sarà implementata in occhiali leggeri a basso costo, che permetteranno di vedere il mondo esterno insieme a quello virtuale. La tecnologia è ancora immatura, ma già fra cinque anni posso immaginare questi occhiali con software che consentono di scolpire, dipingere, parlare con persone in remoto, acquisire informazioni sul contesto etc. Quando lo scoglio tecnologico sarà abbattuto allora verrà automatico un utilizzo di questo tipo della tecnologia, sia in ambito tecnico, per specialisti come designer, artisti e architetti, sia nel quotidiano, dove la realtà aumentata può essere utile per la comunicazione o l’estensione della percezione dell’ambiente. L’utilizzo del virtuale in studio sarà molto utile, ma sono convinto che la realtà aumentata sia probabilmente il nostro futuro nel quotidiano. 

E ora? Quale progetto porti avanti a Milano per la neonata Casa degli Artisti? Come si sta evolvendo la sperimentazione con la virtual reality?

A Casa degli Artisti mi occupo di estendere gli spazi della Casa attraverso la realtà virtuale 3D. In particolare sto lavorando sul “dodicesimo atelier”, che sarà il continuum virtuale dell’undicesimo atelier, nel quale ci troviamo in questo momento, al secondo piano dell’edificio. All’interno del dodicesimo atelier si potrà interagire con coloro che saranno presenti sia nello spazio fisico che nello spazio virtuale, e anche collaborare. Questo sistema permette di lavorare in digitale con persone in remoto o organizzare residenze virtuali, in connessione con uno spazio fisico. Lo si può usare come spazio per progettare opere fisiche che verranno esposte in Casa degli Artisti, interventi urbani, oppure come atelier virtuale dove realizzare e esporre opere in virtuale. 

Tra le varie attività e progetti che segui, sei anche fondatore di Whitelabel.Foundation. Di che cosa si tratta?

Si tratta di utilizzare le modalità di sperimentazione intensiva in stile hackathon facilitando la collaborazione temporanea tra “competitors” e diverse realtà che sembrano non avere niente in comune che però, al di là del proprio business, hanno desiderio di fare ricerca e sviluppo su hardware e software sperimentali, attraverso esperimenti tecnologici declinati all’innovazione rigenerativa in chiave non-distopica.
Il nostro diventa un fondo di strumentazione, contatti, tempo. Si tratta di un concetto semplice: mettere insieme le proprie capacità di soluzione di problemi per ricercare e sviluppare insieme focalizzandosi su un progetto comune per 24, 48 o 72 ore. Un acceleratore del processo di innovazione attraverso scambio aperto di conoscenza e modalità produttive.
Le connessioni umane e professionali generate dai progetti di whitelabel foundation continuano a svilupparsi liberamente dopo la chiusura delle hackathon. Tutto ciò riverbera positivamente a medio lungo termine anche sui business dei partecipanti.
Il valore della conoscenza, dei contatti professionali ed il risparmio di tempo in ricerca e sviluppo generati, permette alle aziende ed ai professionisti di supportare la fondazione attraverso donazioni libere, che vengono utilizzate per supportare ulteriori sperimentazioni no-profit ed incursioni tecnologiche animate da passione, curiosità e gestite in chiave informale.
I progetti sviluppati e pubblicati sinora spaziano dalla telepresenza virtuale ad-free, criptata e decentralizzata (uxr.zone) al fitness virtuale (hitmotion reloaded) alla cyber vision per musicisti e clubbers (beat reality) al precision farming ed ecosistemi portatili per fitodepurazione e rigenerazione delle acque (biomatrix X seasteading) alla meditazione aumentata e strumenti per modificare temporaneamente la percezione visiva e temporale (mind machine).