TERRAFORMA EXO

 Intervista con Ruggero Pietromarchi

TBD: Iniziamo dal principio. Come nasce Terraforma e a cosa aspira? E come si è evoluta nel tempo sino ad arrivare a Terraforma EXO?

RP: Il festival a Villa Arconati (Castellazzo) seguiva quest’idea: è stato concepito fin dal principio come un’occasione per rigenerare un luogo, come il giardino della villa, abbandonato. Nel momento in cui lo spazio è stato riqualificato, grazie al fondamentale sostegno di Fondazione Augusto Rancilio, è tornato accessibile al pubblico, ed è venuta meno la necessità di fare lì il Festival. Questo ha portato poi alla chiusura di quel capitolo in favore di EXOA questo si è aggiunta con il tempo la stanchezza fisiologica di lavorare in un monumento storico-artistico mancante di molti servizi fondamentali e per questo richiedente uno sforzo titanico nell’adattarlo per il festival. EXO riprende e porta avanti le ricerche e l’attitudine sperimentale che caratterizzavano gli eventi in Villa Arconati, ma assume una nuova forma. Il primo punto di congiunzione è lo stretto legame con il verde che da quello del giardino all’italiana di Castellazzo diventa quello di Parco Sempione. EXO non avrà quella dimensione esperienziale e di stretto contatto con la natura che c’era invece durante il festival, ma il fil rouge delle tematiche sarà invece il medesimo. In particolare l’attenzione alla specificità del luogo e il coinvolgimento di architettura e design nella riflessione sul paesaggio saranno ancora presenti e faranno da impalcatura alla dimensione sonora che sarà fortemente presente anche in EXO.

TBD: Restando su quest’attenzione che sottolineavi nel coinvolgere design e architettura, un fatto che abbiamo trovato interessante negli anni è proprio lo sguardo di Terraforma verso questi ambiti nel contesto milanese emergente, declinato tramite inviti annuali per partecipare allo sviluppo dei set-up del festival (pensiamo allo Studio AOUMM, come anche al collettivo Fosbury, tra altri). In un contesto internazionale come quello a cui si rivolge Terraforma queste collaborazioni hanno permesso di fornire una piattaforma sperimentale e “libera”. Quest’ambizione di intersecare mondi anche molto diversi permane anche in EXO?

L’attenzione alla dimensione locale è qualcosa che ha contraddistinto (e contraddistinguerà sempre) tutti gli ambiti organizzativi di Terraforma: dalla proposta gastronomica, ai tecnici luci, all’allestimento abbiamo sempre posto l’accento sulla volontà e possibilità di creare un network sostenibile non solo economicamente, ma anche ambientalmente. Questo approccio a rete è anche ciò che ha reso negli anni Terraforma un terreno di sperimentazione per una serie di soggetti che, ciascuno attraverso la propria professionalità, costruiscono una mentalità condivisa e comune. La creazione di questo network non è mai manifesta, ma piuttosto è parte del sottotesto dell’intero progetto di Terraforma e rispecchia la volontà di lavorare sulla cultura della mente, di creare cultura del lavoro attraverso gli strumenti aggregativi originati all’interno di Terraforma. Se la musica è il linguaggio di Terraforma, la metodologia è la sostenibilità, approccio da applicare a tutti gli aspetti di questa macchina complessa. 

In EXO collaborazioni come quella con il collettivo milanese Gatto Verde o con l’etichetta Dialogo (che ha da poco ristampato Obscure Records di Brian Eno attuando un ricercato lavoro d’archivio attraverso le proprie pubblicazioni musicali) mostrano come questa direzione legata alla località in un contesto globale sia quanto mai presente e attiva.

TBD: A proposito ancora della libertà creativa e dell’avere spazio di espressione slegato da vincoli, la cornice della Triennale cambia lo spazio non solo fisico, ma anche politico di Terraforma: dal giardino semi-abbandonato di una villa si passa a un giardino che potremmo definire “istituzionale”. Questo fatto come influisce (se lo fa) sulle possibilità del festival e su chi parteciperà attraverso interventi installativi, performativi e musicali?

Questa è sicuramente una delle principali sfide di EXO. Dato che è la prima edizione non c’è una risposta definitiva su questo, ma dopo mesi di lavoro ora che si inizia a vedere la sagoma completa posso dire che il progetto mantiene la sua struttura e la sua forza anche all’interno di un contesto fortemente istituzionale. Dicendo questo intendo che stiamo riuscendo a trasmettere i nostri messaggi, a creare uno spazio di espressione e critica grazie ai contributi e alla totale collaborazione da parte dello staff di Triennale, come anche del Comune di Milano. Dall’altro lato Triennale ci da la grande possibilità di variare il nostro pubblico: se sicuramente da un lato perderemo parte del pubblico internazionale (circa il 50% alle precedenti edizioni di Terraforma), dall’altro ci sarà una crescente trasversalità in termini di età e provenienza anche grazie alla capacità dell’istituzione di parlare a una fetta di pubblico più ampia e variegata. 

TBD: Si parla molto, in relazione a Terraforma EXO, di ecologia del suono. Cosa si intende con questa espressione?  

L’espressione è intesa sempre all’interno del discorso sulla sostenibilità ambientale, fa parte dell’intenzione di approcciare in modo diverso il tema dell’ecologia. Ciò è stato fatto in passato sia con la riqualificazione del giardino di cui parlavamo prima, sia attraverso altri formati come Il Pianeta come Festival (2020), attraverso cui si è cominciato a lavorare sulle esplorazioni sonore ambientali nel contesto urbano.

Seguendo questo filone di riflessioni ci siamo concentrati sull’ecologia del suono intesa come l’azione di risvegliare una coscienza sociale nei confronti dell’inquinamento acustico: quanto impatta quest’ultimo sul nostro quotidiano? Quanto il nostro vivere è condizionato dall’ambiente sonoro? Per iniziare a rispondere a queste domande intendiamo attivare diversi luoghi lasciando al pubblico la possibilità di esplorare spazi conosciuti (come quelli di Parco Sempione) in modo maggiormente attento, sensibile e consapevole. Sicuramente l’approccio verso la riqualifica non si applicherà a Parco Sempione, almeno non sul breve periodo, anche data l’eredità che il parco porta con sé, al tempo stesso la possibilità di risvegliare le coscienze sull’inquinamento acustico ci sembra un modo di rigenerare le menti all’interno del parco stesso.

TBD: Proprio in relazione alle eredità che porta con sé Parco Sempione, ci vengono in mente gli esperimenti installativi e architettonici portati avanti dalle Triennali fino agli anni ‘70 circa (come ad esempio La Casa del Sabato degli Sposi) e il loro portato utopico. Se in Villa Arconati riprendeva abbastanza chiaramente l’immagine del “giardino segreto” come ambito utopico per eccellenza, dove abbandonare le convenzioni socio-culturali, come si inserisce l’utopia in EXO? L’implicazione simbolica del giardino sarà parte anche di Terraforma EXO?

A VillaArconati l’utopia era un tema fortissimo, l’idea di costruire una comunità temporanea riprendeva proprio le radici dell’utopia secondo Tommaso Moro, una dimensione parallela dove ribaltare gli status quo. A Terraforma si volevano rivedere gli schemi sociali legati al commercio in funzione invece di una convivenza legata a contenuti artistici: la musica approcciata non secondo il modo capitalista occidentale.
Se partiamo dall’idea che ogni manifestazione culturale è in sé stessa un’utopia, a Villa Arconati questa aveva una forma comunitaria e più istintiva, in EXO diventa più critica, più analitica. Peraltro questa trasformazione corrisponde con la crescita di noi che Terraforma l’abbiamo fondata: abbiamo iniziato che eravamo ventenni, oggi siamo più consapevoli (e quindi più analitici), ma comunque proseguiamo con la volontà di mantenere la radicalità che ci ha rappresentato fin dall’inizio.

TBD: Postresti approfondire l’idea di passeggiata sonora e immersiva che proponete come parte del programma di EXO. Da chi saranno condotte? Gli ascoltatori sono guidati o liberi di muoversi come vogliono?

Come dicevo questo lavoro sull’ambiente sonico urbano nasce con Il Pianeta come Festival che ha coinvolto diversi collettivi attraverso workshop e laboratori. Abbiamo collaborato con Stantards.per coinvolgere diversi collettivi come i Soy Division di Berlino (collettivo indonesiano legato alla tradizione culinaria) o come ULTRARED. In particolare insieme ad Attila Faravelli di Standards abbiamo organizzatodelle passeggiate in cui una ventina di partecipanti massimo è stata portata a percorrere delle zone delimitate e a risvegliare l’ambiente sonoro che li circonda.

L’idea più vasta con EXO è di avviare delle mappature dell’ecosistema sonoro del parco, prendendo la biblioteca del Parco come punto di partenza e interfacciandosi con Deep Energies (collettivo australiano di base a Milano) che hanno mappato negli anni sonoricamente dal sud est asiatico fino alle foreste amazzoniche. Questi sono spunti e punti di partenza poi come sempre si sfoltirà e si capirà a posteriori ciò che ha funzionato e ciò che va rivisto o ricompreso.

TBD: L’editoria ha lateralmente incontrato più volte Terraforma, in primis attraverso Terraforma Journal. Ci sarà una sinergia in questo nuovo formato rispetto all’editoria e all’editoria indipendente? Pensiamo alla presenza in Triennale di Radio Raheem, che negli anni ha fatto un grande lavoro di divulgazione del lavoro di editori e pubblicazioni indipendenti.

Terraforma Journal è stata un’altra progettualità che ha avuto una sua temporalità conclusa dopo quattro numeri. E’ nata nel 2020 quando il festival non si è potuto fare per questioni sanitarie, l’idea era di far uscire Terraforma dalla dimensione festival per cercare altri modi di riflettere sulle tematiche legate al suono.

Dagli anni del COVID, Terraforma ha mutato sempre più verso una piattaforma curatoriale su cui innestare diverse progettualità: un sistema solare intorno al quale giravano pianeti di cui connettere le diverse orbite. Il Journal ha avuto origine da questo, dalla volontà di veicolare le ricerche, i contenuti e i pensieri dei partecipanti e degli incontri avvenuti durante il festival.

Le diverse dimensioni si spengono e riaccendono secondo possibilità: vogliamo tentare di dimenticare l’ansia da prestazione e ragionare su progettualità nutrite da idee, da passione e da tanto lavoro. Quando ci sono le condizioni di sostenibilità (anche economica) si va avanti, con questa metodologia intendiamo lavorare al confine della sperimentazione culturale. Per concludere direi che la passione e la testardaggine è ciò che racconta meglio Terraforma e forse qualsiasi impresa culturale in Italia, solo attraverso questo approccio si può portare avanti quella che è a conti fatti una follia.