postami da morta

Verso la fine degli anni novanta il corpo si immette nel circuito di Internet attraverso un reticolo di immagini mai viste prima, dando inizio al macabro online con i cosiddetti shocking sites. Siti come Rotten.com, Ogrish.com, Bestgore, spalancano la porta dell’inferno umano: i loro contenuti sono raccapriccianti, disturbanti e si configurano come la prima risorsa di foto e video di incidenti, omicidi, esecuzioni e molto altro. Rotten.com, aperto nel 1996 e chiuso nel 2017, è stato definito in un articolo pubblicato da Salon nel 2001 come “il lato più oscuro, nascosto e sordido della natura umana”. Il suo fine era far vivere allo spettatore un’esperienza che non si esaurisse in un’unica e fugace visita ma in un orrore continuo, vissuto molteplici volte in un loop di terribile dipendenza ed eccitazione.
Oggi le immagini violente, gore [1] e di tortura sono ormai un semplice materiale di scambio pubblico e informale reperibile dai social network ai thread di Reddit [2] ed è, pressoché impossibile, scindere la dicotomia tra lo sfruttamento di tali contenuti come informazione o come strumento di intrattenimento. Alle volte queste due modalità mediatiche finiscono per coincidere generando una realtà ibrida di perversione, disinformazione e controllo politico. La debolezza del corpo umano, come la ferocia omicida di una coscienza non più umana, diventano statuti di un nuovo linguaggio e finestre di una realtà che è plasmata e si plasma sulla morte. Si registra a tal proposito un aumento di condivisione di materiale violento proprio a partire dagli attacchi terroristici dell’11 settembre [3], periodo in cui la frequenza di immagini di tortura sia in televisione che su Internet ha iniziato a propagarsi considerevolmente, alimentando così uno specifico immaginario collettivo.
Nella contemporaneità “oculocentrica”, citando la teoria della filosofa Gillian Rose (Rose 2001), l’immagine acquista un’importanza tale all’interno del panorama politico-culturale che la sua profusione arriva a trasformare il corpo sociale nelle sue forme di relazione e di interazione. La contemporaneità ci propina e presenta un continuum di immagini di tortura prese dal vivo che spesso non testimoniano più l’atto in sé, ma si trasformano in un feticcio di consumo collezionato fra le stratificazioni visuali del quotidiano.
Da questa disseminazione online consegue un’incapacità nella comprensione del dolore fisico e della morte e, come nota Alessandro Amaducci, “mancando una cultura della morte, dato che né la religione né la filosofia riescono ad assolvere a questo compito, si cerca l’immagine della morte” (Amaducci 2007, p. 118). Il rischio è di alterare la rappresentazione della tortura a tal punto da favorire un rimosso sociale che contribuisce alla propagazione di una disinformazione generale. Le immagini di sevizie e violenza di vario genere sono così restituite attraverso una tortura arcaica, diversamente ritualizzata attraverso l’influenza della cultura digitale (La Rocca 2009), in cui il corpo viene ripetutamente smembrato: la tortura viene sempre più prodotta per la sua messa online. 

Video "1 lunatic 1 icepick", 2012.
Luka Rocco Magnotta e la scena del crimine del video "1 lunatic 1 icepick", 2012.

Ne è un esempio il video 1 lunatic 1 ice pick, pubblicato nel 2012 sul sito Bestgore: un filmato di quasi 11 minuti che inizialmente ritrae un uomo nudo legato a un letto. Il brano “True Faith” dei New Order fa da soundtrack alla scena quando l’uomo immobilizzato viene prima sgozzato, poi pugnalato ripetutamente all’addome e al torace e, infine, fatto a pezzi. A conclusione del climax seguono atti di necrofilia e cannibalismo da parte dell’assassino che, ultimato il video, impacchetta i pezzi rimanenti del corpo maciullato. È lo scempio compiuto dal canadese Luka Rocco Magnotta che per sete di successo e notorietà arriva, in una crescente follia narcisistica, a uccidere lo studente Lin Jun, adescato precedentemente sul sito Craigslist.  La brutalità del video mette in luce la complessa nonché controversa riproduzione mediatica che richiama l’immaginario cinematografico, a metà tra realtà e finzione, di alcuni snuff movies [4], come Snuff Killer – La morte in diretta (2003) di Bruno Mattei o ancora Guinea Pig: Flower of Flesh and Blood (1985) di Hideshi Hino.
L’atroce filmato cita inconsapevolmente il fascino perverso e grottesco del grand guignol [5] della tortura cinematografica: l’horror e lo splatter hanno sempre presentato, spesso con crudo realismo, una carne lacerata, una pelle rigirata e un corpo profanato ormai non più umano.
Nel 2006, il critico David Eldelstein pubblica sul New York Magazine il testo Now Playing at Your Local Multiplex: Torture Porn, in cui riferendosi specificatamente al film Hostel (2004) e alla saga di Saw (2004), definisce un genere derivante dal cinema splatter. Il torture porn o gorno (neologismo nato dall’unione di gore e porno) si distingue, infatti, per una attenzione morbosa all’inquietante rapporto che intercorre tra violenza e sadismo (spesso misogino). Eldestein indaga soprattutto il carattere pornografico della tortura individuando caratteristiche tecnico-espressive che incidono sull’esercizio scopico dello spettatore. Entrambi i generi – il porno e l’horror – esibiscono il simulacro del corpo, svelano i tabù più reconditi ed esasperano l’attesa febbricitante del countdown verso il climax finale, ovvero l’orgasmo nel film porno e la morte in quello horror.

Saw III - L'enigma senza fine (2006) diretto da Darren Lynn Bousman.
Hostel (2004) diretto da Eli Roth e Scott Spiegel.
Emanuelle in America (1976) diretto da Joe D'Amato.
Snuff Killer – La morte in diretta (2003) diretto da Bruno Mattei.
Guinea Pig: Flower of Flesh and Blood (1985) di Hideshi Hino.
Guinea Pig: Flower of Flesh and Blood (1985) di Hideshi Hino.

Altrettanto importante, nella registrazione della tortura, è lo spettacolo della degradazione e del dolore umano. Come in alcune scene di Hostel e Saw, la componente trans-mediale consiste nella presenza di telecamere che i carnefici posizionano nelle stanze. La tortura è, quindi, uno show, un gioco di potere in cui la vittima è costantemente ridotta ad abietto, a corpo che non ha più legami emotivi con il soggetto e l’individualità del proprio Io (Kristeva 1981).
La spettacolarizzazione della messa in posa e la deumanizzazione si ritrovano anche nell’iconico e scandaloso evento accaduto nel 2004 nel carcere di Abu Ghraib vicino a Baghdad.
Nello stesso anno il programma d’inchiesta 60 Minutes II della CBS News ha mostrato per la prima volta le fotografie, scattate dai soldati stessi, delle torture e degli abusi subiti dai prigionieri iracheni nella prigione. Tra tutte, un’immagine è diventata il simbolo di queste torture: un uomo è costretto a rimanere in piedi su una scatola, con le braccia aperte e dei fili collegati alle dita. Nelle fotografie divulgate l’aria goliardica dei volti dei militari americani davanti ai corpi nudi dei prigionieri aggrava il senso di turbamento generale degli scatti. Anche in questo caso, la similitudine con le immagini dell’industria pornografica è palese: i prigionieri disposti come attori porno ricordano le istantanee amatoriali che proliferano nei siti Internet. Il rapporto tra immagine e corpo torturato apre allora una dimensione metamorfica del corpo stesso, un bodyscape in cui, più della violenza in sé, interessa la composizione di tale violenza che genera una stimolazione psico-sessuale. La difficoltà nel discernere il carattere finzionale dall’esperienza visiva reale nelle immagini online alimenta oggi un piacere estetico-estatico della tortura che, da Abu Ghraib a 1 lunatic 1 ice pick, è segno di una forma di presentazione espressiva sadica, nuovo simbolo dell’iconizzazione della realtà trasformata in spettacolo integrato.
La CBN News ha definito le fotografie che ritraevano la soldata americana Lynndie England con i prigionieri di Abu Ghraib con l’appellativo “porno hard-core”, alimentando così la diffusione di un immaginario restituito online sotto forma di nuovi linguaggi: una produzione di “porno tortura” per il cyberspazio (La Rocca 2009).

Fotografia scattata da un soldato americano. A Satar Jabar, il detenuto qui ritratto, veniva detto che avrebbe ricevuto una scossa elettrica se fosse caduto dal supporto sul quale era stato posto.
Lynndie England finge di sparare con un mitra all'inguine di uno dei prigionieri, costretto a masturbarsi davanti a lei.
Doing a Lynndie.

L’operatività dell’immagine del terrore consiste anche nel trasformare icone in pratiche di emulazione quotidiane, ne è un esempio la campagna promossa dal blog britannico Bad Gas [6] che ha incoraggiato il pubblico a ricreare la propria versione della posa di Lynndie England. Il gesto che richiama il segno della pistola con le mani, originariamente puntato sui genitali dei prigionieri nudi, è diventato virale con il nome di “Doing a Lynndie”. Trasformare tale posa in una pratica umoristica quotidiana sottolinea allora l’ambivalenza del complesso panorama mediatico che pone domande sul ruolo e il potere che i social media e Internet hanno nel processo di risemantizzazione della tortura. Oltre a questa continua scomposizione dialettica è importante sottolineare la studiata messa in posa, la riproposizione di un atto solo per poter essere condiviso e divenire potenzialmente virale.
Un altro esempio, più recente, è testimoniato dalla “George Floyd Challenge” [7], per cui le persone hanno sfidato la propria resistenza subendo la posizione di violenza e sottomissione che l’agente di polizia Derek Chauvin ha esercitato sull’afroamericano George Floyd. Si generano così carnefici ignari, fantasmi torturati e mostri trans-digitali.
Le immagini che presentano fatti accaduti diventano veri e propri eventi mediatici che riportano effettive e specifiche conseguenze e, pertanto, oltre a riflettere sulle loro sovrastrutture simboliche e di rappresentazione, bisogna osservare anche i modi attraverso cui agiscono per disciplinare, agitare e controllare l’umano. La riproduzione dell’immagine o di un frame video può allora diventare sintesi positiva o inversione negativa dell’evento, del quale lo sguardo originario si perde in favore di un senso digitale, che è esso stesso un senso di elaborazione e di controllo (Baudrillard 1990, p. 86).
Nel caso della tortura, la rappresentazione delle immagini ne testimonia una presenza continua che contamina la visione del mondo come un détournement che costituisce una nuova base di dati sulla realtà. Nell’era digitale la proliferazione di questo tipo di immagini, nonché la loro fagocitante visualizzazione, manifesta ancora un aspetto estetico-spettacolare che può divenire arma di distrazione di massa. Riprendendo Foucault, la biopolitica e il biopotere amministrano non solo la vita ma anche la morte che, nel caso della tortura, riconfigura il rapporto, alle volte simbiotico, che si instaura tra il corpo dell’immagine digitale e il corpo di chi guarda. Non a caso si sono sviluppati studi e ricerche accademiche, chiamati Death Studies [8], che indagano i concetti di morte e lutto all’interno della cultura digitale. Le immagini violente e disturbanti, da sempre presenti nel mondo iconografico, sono ora cumuli di archivi che dai siti di video sharing alle pagine Instagram manifestano un nuovo linguaggio nella forma di visualizzazione online, come nell’accumulo di followers.
Non più eventi, non più corpi, ma un web content per il quale la morte e la tortura rimangono anonime. Il corpo, stretto tra i tessuti del web, si trova simultaneamente negato, in una fantasia di elusione, e consolidato e imposto nuovamente (Braidotti 2007). Nella digitalizzazione la tortura e la morte generano ancora più capitale ma al tempo stesso possono scatenare reazioni che di questa necro-politica vogliono svelare il volto.

Eleonora Fascetta

[1] Con il termine gore o splatter si intende un sotto-genere del cinema horror che si contraddistingue per contenuti altamente cruenti, alle volte a sfondo erotico e pornografico.

[2] Sito Internet di social news, intrattenimento, e forum.

[3] L’organizzazione per i diritti umani Human Rights First ha rilevato che nel 2000 sono state mostrate 42 scene di tortura in prima serata nelle reti televisive statunitense, mentre nel 2003 sono aumentate a 228. 

[4] Il termine snuff o snuff movie (dall’inglese “spegnere lentamente”) si riferisce a film amatoriali in cui le torture mostrate sono realmente effettuate. I film citati mettono in scena torture finte.

[5] Il Grand Guignol è stato un teatro inaugurato nel 1897 a Parigi specializzato in spettacoli macabri e violenti. Oggi con questo termine, e il suo aggettivo “granguignolesco”, si intende un genere teatrale o di altre rappresentazioni visive in cui si rappresentano scene realistiche di ogni forma di delitti e orrori.

[6]  Archivio della pagina originale di Bad Gas: http://web.archive.org/web/20100428050715/http://www.badgas.co.uk/lynndie/ 

[7] Alcune immagini presenti su KUTV: https://kutv.com/news/nation-world/george-floyd-challenge-on-social-media-called-hateful-disgusting 

[8] Ne sono un esempio il “Centre for Death and Society” della University of Bath in Inghilterra: (https://www.bath.ac.uk/research-centres/centre-for-death-society/) e la rivista accademica inglese “Death Studies” sponsorizza da “Association for Death Education and Counseling – The Thanatology Association” (https://www.tandfonline.com/loi/udst20).

Bibliografia e sitografia

  • Amaducci, A 2007, Verrà la morte (e avrà i tuoi occhi). Gli ‘snuff’ in Internet. La valle dell’Eden, n. 18, gennaio-giugno.
  • Baudrillard, J 1980-1990, Cool memories. Diari 1980-1990, SugarCo, Milano 1991.
  • Braidotti, R 2007, Biomacht und necro-Politik. Uberlegungen zu einer Ethik der Nachhaltigkeit, in “Springerin, Hefte fur Gegenwartskunst”, XIII, 2, Fruhjahr, pp. 18-23.
  • La Rocca, F 2009, Immagini e tortura, in Farci M, Pezzano S (a cura di), Blue lit stage: realtà e rappresentazione mediatica della tortura, Mimesis, Milano.
  • Edelstein, D 2006, Now Playing at Your Local Multiplex: Torture Porn. New York Magazine, 28 gennaio.
    https://nymag.com/movies/features/15622/ 
  • Estremo, V 2018, La mia morte degli altri, in “Kabul magazine”, 30 marzo.
    http://www.kabulmagazine.com/la-mia-morte-degli-altri/ 
  • Foucault, M 1975, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Milano 2014.
  • Kristeva, J 1980, Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, Spirali Edizioni, Milano 1981.
  • Rose, G 2001, Visual Methodologies, Sage, London.