Learning from Misty Beethoven 

“Allora sono 50, ti aspetto fuori fra 10 minuti, ora devo incontrare Napoleone” – “Napoleone?” – “Sì, Napoleone!”; Misty si alza e sinuosa percorre la sala cinematografica per raggiungere un anziano che indossa un’improbabile divisa militare tardo settecentesca. “Puntualissimo!”, esclama Misty e, dopo un fugace bacio, inizia a masturbarlo. Misty procede indifferente con il suo lavoro, si gira verso l’intrigante sconosciuto (e futuro cliente) a cui poco prima aveva dato un appuntamento. La stimolazione meccanica procede, il Napoleone contemporaneo si sincronizza con la pellicola proiettata nel cinema, ignora Misty, e in un vorticoso susseguirsi di piani meta cinematografici, l’anziano imperatore francese e il porno attore del film raggiungono l’orgasmo in contemporanea.

Questo l’inizio di The Opening of Misty Beethoven, una pellicola pornografica del 1976 diretta da Radley Metzger, tradotto in italiano in un becero “A bocca piena” (visibile per intero e gratuitamente su Pornhub). Il film rappresenta uno dei punti della parabola della cosiddetta “Golden Age of Porn”, l’epoca d’oro del porno americano fra il 1969 e il 1984. 
La trama ripercorre e parodizza quella di My Fair Lady: un sessuologo scommette di poter trasformare una prostituta di basso rango (Misty) in una vera e propria dea del sesso. Misty impara e non delude le aspettative del Dr. Love, che sopraffatto dall’expertise acquisita dalla sua allieva, finisce per esserne dominato.

Perché dunque la scena iniziale di The opening of Misty Beethoven ci interessa tanto? Cerchiamo di avviare un’analisi semiologica del discorso visivo portato avanti da Metzger attraverso uno schema. 


Come vediamo, lo schema proposto identifica due coppie, che funzionano come abbinamenti standard formati da soggetti emittenti e soggetti ricettori. La prima coppia è quella formata dallo schermo del cinema (entità emittente per eccellenza) e il nostro Napoleone. L’altra è formata dai protagonisti del film: Misty e Dr. Love, uniti dal loro intenso incrocio di sguardi, nel quale Misty funziona da entità emittente di un messaggio erotico.
Cosa notiamo di particolarmente interessante in queste accoppiate multiple? L’unico atto meccanicamente sessuale avviene nell’interstizio fra le due coppie, fra Misty e Napoleone, minimamente coinvolti l’uno dall’altra. D’altro canto la connessione erotica avviene solo fra soggetti (e corpi) il cui contatto è filtrato e assente: Napoleone guarda un video, una produzione cinematografica (un porno nel porno) e quindi necessariamente filtrata e organizzata. Misty genera tensione erotica su Dr. Love attraverso un contatto scopico a distanza, mediato dalla platea (letterale e simbolica) della sala cinematografica in cui la scena si situa.

La scena ci permette di rendere visibile, attraverso una sapiente regia, un assunto logico dal quale vorrei far partire il discorso sulla pornografia:

Ogni atto sessuale è un’azione eterodiretta 


Slavoj Žižek in Che cos’è l’immaginario (Žižek 2016), sostiene che ogni atto sessuale è completo solo se esso è rapportato a un Terzo, un soggetto simbolico esterno, uno sguardo estraneo che legittima e testimonia l’azione sessuale in sé. “Questo Terzo, che è sempre presente come testimone smentisce l’ideale dell’edonismo – cioè, introduce il momento della riflessività a causa del quale un innocente piacere privato non viziato non è mai possibile: il sesso è sempre in minima parte ‘esibizionista’, fa assegnamento sullo sguardo dell’Altro” (Žižek 2016, p. 291). L’osservazione di Žižek, derivata da Lacan, non può essere sublimata a verità universale, ma racchiude in sé una serie di considerazioni molto potenti. Prima di tutto il fatto che ogni azione sessuale è un atto che si instaura in un contesto sociale, ogni performance sessuale è sempre praticata davanti all’occhio osservante della società, che cambia con le coordinate geografiche e storiche. L’intimità, dunque, è solo illusoria. Il personale è politico, si diceva negli anni sessanta, e niente è più personale, e conseguentemente politico, del sesso. 

In questa sede non è possibile aprire il discorso sull’evoluzione politica delle sessualità, ma si cercherà di definire una parabola che coinvolga il sesso come oggetto di riproduzione tecnica visiva, in particolare attraverso il medium video.
“Non è più una questione legata al dire cosa avviene – l’atto sessuale –  e come; – direbbe Fouacault – ma di ricostruirne le dinamiche nell’atto e intorno a esso. I pensieri che lo ricapitolano. Le ossessioni che l’accompagnano. Le immagini, desideri, modulazioni e qualità del desiderio che lo animano”¹.
La premessa di Žižek e la finalità di Foucault ci permettono di aprire un più ampio discorso sul valore semiotico della riproduzione visiva di un’azione sessuale e, quindi, della pornografia.
Se è vero che ogni atto sessuale vive nella sua testimonianza (simbolica), cosa avviene quando il terzo occhio, il pubblico sociale, viene sostituito dall’occhio concreto della videocamera? E che tipo di ricezioni sono possibili di questo materiale?

La pornografia è un’importante e spesso sottovalutata forma di scrittura sociale. Essa tuttavia non gode di uno statuto univoco, si ritiene dunque necessaria una premessa. 
Per sintetizzare credo che la principale separazione, funzionale al resto dell’analisi, sia quella fra pornografia mainstream e pornografie alternative. 

Pornografia mainstream (vanilla): è il prodotto (ho utilizzato non a caso il singolare) di una vera e propria industry filmografica. Oggi il concetto di industria pornografica ha un’identità completamente differente da quella ormai cult della casa di produzione. Sopravvive tuttavia una fondamentale volontà “industriale”, i cui prodotti seriali sono pensati per la generazione di piacere (masturbatorio) del più ampio pubblico possibile. Questo tipo di produzione, non “pericolosa” di per sé, detiene tuttavia un inquietante (e ipoteticamente fruttuoso) potenziale: quello di generare il canone del contenuto pornografico andando da una parte a sintetizzare un comportamento sessuale di un gruppo sociale e, dall’altra, a definire e direzionare i suoi desideri. Vanilla è invece il termine che identifica l’azione sessuale socialmente considerata “standard”, che non include l’universo feticista (es. bdsm).

Pornografie alternative: per pornografie alternative si intendono quei prodotti visivi dove il linguaggio pornografico non è utilizzato (esclusivamente) al fine di coadiuvare il piacere meccanico della masturbazione. Questo materiale è volto all’utilizzo del pornografico come mezzo per parlare di più ampie implicazioni sociali. Le pornografie alternative possono a tutto diritto rientrare nell’ampio spettro delle pratiche artistiche. L’analisi, in questa prima parte, terrà soprattutto in riferimento il contesto della pornografia mainstream, in particolare riguardante l’azione vanilla

Partiamo da un dato di fatto: quando un’azione è registrata consapevolmente, essa perde la sua natura spontanea. Conseguentemente, l’azione sessuale, quando registrata in un contesto filmico (di qualsiasi natura) segue le regole della regia, diventa coreografia. La peculiarità della pornografia è la sua pretesa di realtà, la sua volontà di rendersi trasparente. Un messaggio si definisce trasparente quando il suo contenuto è il meno possibile mediato o, in altri termini, subisce in minima parte le influenze del medium che lo trasmette. Ora, che la pornografia sia tutto fuorché trasparente è un dato discretamente condiviso, ma cosa avviene percettivamente quando la fruiamo? La chiave di questo discorso risiede nel processo sostitutivo di cui si parlava prima. L’occhio della videocamera si sostituisce a quello simbolico del terzo soggetto nell’atto sessuale “privato”, andando dunque a ribaltare il posizionamento di queste identità: se nell’atto “genuino” il terzo occhio è quello simbolico e codificato, che vigila e plasma i corpi che osserva, nella ripresa pornografica l’occhio si concretizza, trasferendo nel regime del simbolico e del codificato i soggetti e i corpi che riprende.
Ecco allora che l’apparente “innocenza” socio-politica del messaggio pornografico dovrebbe cominciare a vacillare. Il processo di concretizzazione del terzo occhio sociale funziona infatti come una vera e proprio socio-grafia: si inscrive su video non un’azione o una semplice performance, ma un’intera sintesi sociale. Questa, a differenza di altri linguaggi visivi (come il marketing, la moda, le arti), è tuttavia pericolosamente libera da una strutturata forma di lettura critica. Il pornografico (mainstream), non gode di un costante processo di interrogazione, pretende di essere trasparente e quindi immune a ulteriori indagini, proprio in luce della sua categorizzazione come linguaggio parallelo e sempre racchiuso nella sfera dell’“intimità” e della fruizione privata.

In Hard Core, Power, Plesaure and the ‘Frenzy of the Visible’, testo sacro nella bibliografia americana sul porno, Linda Williams associa la volontà pornografica (nel senso di volontà di “scrivere” un’azione sessuale) alla nascita della riproduzione dell’immagine in movimento. Questa associazione rientrerebbe per Williams nel progetto di quella scientia sexualis, così come descritta da Foucault. La scientia sexualis rappresenta il centro della relazione potere-sapere. Il termine sintetizza le dinamiche di produzione di saperi e dispositivi diretti a definire una verità sul sesso. Tale verità è coadiuvata dalla creazione e il rafforzamento delle istituzioni di potere, educative, religiose, mediche o giuridiche. Di conseguenza il corpo acquisisce il carattere dell’oggettività e, perciò, inizia a essere esaminato, analizzato e curato da eventuali patologie interiori o anomalie. 
Nel contesto di questa progettualità, tutta occidentale, la pornografia acquisisce un valore particolare: soddisfa il feticismo conoscitivo del sesso come unità scientifica, coadiuva la ricerca di quella verità pura che l’atto sessuale cela nella sua stratificazione di corpi, soggetti e identità.
Ecco dunque che, soprattutto nel contesto della pornografia mainstream, l’occhio della videocamera diventa endoscopio sociale: ci mostra come godiamo ma, soprattutto, ci indica come farlo. E se è proprio nella sovrapposizione con l’occhio concreto della videocamera (e di conseguenza con il terzo occhio sociale dell’atto genuino) che avviene il passaggio immedesimativo che permette l’eccitazione è, per conseguenza logica, possibile spiegare la ragione per la quale la pornografia ci guida nella definizione di un canone del piacere e delle possibili performance sessuali (che cambiano, si dilatano e si restringono, ma che comunque subiscono una narrazione egemone nel mondo della pornografia mainstream).

Continuiamo su questo filone e, spostandosi ancora dall’altra parte dello schermo, cerchiamo di capire come l’atto masturbatorio sia fondamentale per sistematizzare un discorso sul pornografico. In un articolo del 2009 dall’emblematico titolo Pornography and its Critical Reception: Toward a Theory of Masturbation (Ullen 2009), Magnus Ullen descrive l’atto masturbatorio come una metodologia di lettura del testo visivo pornografico. Ullen considera ogni discorso “accademico” sul porno che non tenga conto della lettura masturbatoria come falsato da una volontà inconsciamente purificatrice, quasi a voler dire che chi parla di porno, senza considerare la sua finalità di intrattenimento sessuale, lo ripulisca per renderlo accettabile da una comunità culturale. Il riferimento di Ullen è, non a caso, ai tesi di Linda Williams – in particolare al già citato Hard Core (Williams, 1989) e il più recente Porn Studies (Williams, 2004) – , colpevoli di generare un’analisi avulsa dal contesto in cui il materiale pornografico viene fruito. Ullen pecca a sua volta di un’inevitabile generalizzazione, ma ci fornisce la conferma che la produzione industriale di porno mainstream ha una forte assonanza con le modalità intrinseche alla società consumista.

 “For rather than marked by a will to represent an incontestable truth, pornography is a form of discursivity which from the very outset has abandoned the claim to represent reality. It seeks instead to establish a truth which is applicable only within the parameters of its own discourse. If this is seen, it immediately becomes apparent how deep are the parallels between the desire founded by the pornographic discourse, and the desire founded by consumer society” (Ullen 2009, p.18). 
Che la pornografia sia monarca della capitalizzazione non è di certo una sorpresa, ma l’associazione apparentemente banale di Ullen acquista un particolare vigore perché conferma il potere del pornografico (soprattutto nella sua fruizione masturbante) di portare alla luce uno spazio cognitivo caratterizzato da un supremo senso di presenza, di trascendenza all’interno (piuttosto che oltre) le logiche della materialità e del consumo. La fruizione del porngrafico sembra in questi termini creare uno spazio e un tempo dove regna l’apparente libertà da ogni determinante ideologica esterna. Tale libertà è, appunto, apparente. Non lo è invece il coinvolgimento percettivo, la “trascendenza” evocata dalla fruizione di materiale pornografico, che ci permette di generare una situazione tale da raggiungere una forma di piacere. Un piacere anch’esso non privo (come illusoriamente si è pensato del pornografico) di implicazioni socio-ideologiche. La teoria qui espressa in merito alla pornografia mainstream e, quindi, alla sua lettura attraverso la masturbazione, è che essa genera una forma di coinvolgimento tale per cui ogni messaggio veicolato da quelle immagini si insinua in maniera particolarmente potente nel perimetro dell’identità del soggetto che le fruisce. Questo proprio in merito alla natura “non verbale”, primariamente pensata per un coinvolgimento esperienziale e corporeo del linguaggio pornografico. In ultima analisi, qui non si è cercato di riattivare un reazionario discorso di censura del più che legittimo processo di ricerca del piacere fisico attraverso la visualizzazione di materiale pornografico, ma si è tentato di disvelare la potenzialità della pornografia come medium, come mezzo comunicativo di istanze sociali e identitarie. 

Ma cosa succede quando smettiamo di masturbarci davanti a un porno?

Cosa succede quando “il pornografico” travalica il perimetro della fruizione privata?


Le pornografie alternative, come detto in precedenza, si caratterizzano in quanto prodotti audiovisivi che non hanno lo scopo
principale di generare una condizione per la masturbazione del soggetto. 
Questa caratterizzazione è dovuta primariamente alle modalità di fruizione di questi lavori. Se il porno masturbatorio (in primis quello mainstream-vanilla) è pensato per una fruizione “privata”, cioè nella maggior parte dei casi in ambienti socio-architettonici delimitati (come quello della casa, o di ambienti pubblici ma predisposti), le pornografie alternative si riferiscono a pubblici di ricezione diversi, che si possono associare senza troppa difficoltà a quelli della cultura visiva (come ad esempio, ai pubblici dell’arte).
Nello specifico, il fenomeno che si ritiene particolarmente interessante in questa analisi, sono i processi percettivi che avvengono quando si fruisce materiale pornografico in contesti che evadono da quelli considerati consoni. Dai festival di pornografie alternative (come l’Hacker Porn di Roma, per citare un caso italiano) a opere d’arte che contengono elementi pornografici, questi ambienti generano condizioni di fruizione peculiari.
La primaria differenza di fruizione è sicuramente quella della visione collettiva. Guardare materiale pornografico insieme, significa generare un’atmosfera ricettiva attiva. L’aria si fa densa, si mischiano particelle di imbarazzo, risate, disgusto ed eccitazione. Il soggetto vive una paradossale situazione, fruisce materiale “scomodo”, che non dovrebbe essere mostrato in pubblico, secondo i nostri ancora attivissimi canoni sociali (difficile negarlo nonostante il processo di “normalizzazione” dell’immagine pornografica). Avviene dunque un naturale cortocircuito: il corpo reagisce a uno stimolo, la mente associa l’immagine alla fruizione masturbatoria, ma essa diviene impossibile data la presenza di altri soggetti, di una platea sociale che, a parte casi codificati, non permette una lettura masturbatoria o anche solo “esplicitamente eccitata” del testo visivo. Il soggetto subisce allora un vero shock percettivo. Senza rispolverare le teorie freudiane sulla sublimazione – assolutamente datate per quanto essenziali nei discorsi sulla visualizzazione di un’azione sessuale – guardare insieme il porno è un’esperienza che, come poche, ancora ha un effetto psico-corporeo importante e, soprattutto, condiviso dal perimetro della platea sociale a cui il materiale di volta in volta si rivolge.
È dunque possibile, a questo punto, ritenere e provare a codificare “il pornografico” (e non la pornografia) come categoria dell’estetico? 

Nel saggio Video Pornography, Visual Pleasure, and the Return of the Sublime, Franklin Melendez propone un’analisi della relazione fra il medium video e il messaggio pornografico. Melendez sostiene (allineandosi alle posizioni di Jameson e Baudrillard), che il video – come la televisione – conquista la nostra attenzione (e assuefazione) grazie alla reiterazione di un eterno Presente, piuttosto che nella definizione di una logica narrativa. Questo tipo di medium induce alla creazione dia particular type of viewing subject, one who becomes an extension of the material basis of the medium, a receptor interpolated via his or her own pleasure into the flattened temporality of video (in Williams 2004, p.410). L’associazione al televisivo porta Melendez a considerare la fruizione del pornografico più come un’esperienza tattile, un massaggio, per citare McLuhan. Le implicazioni portano in questo caso a sottolineare la natura ambigua del messaggio pornografico ma anche a un’ulteriore conferma: il pornografico ha una specificità estetica

Nel definire questa specificità, un importante aiuto può essere fornito dall’analisi del medium video che, come abbiamo visto, è intrinsecamente legato al linguaggio pornografico. 
Il video ha subito una così ampia diffusione che la sua specificità mediale è stata assorbita e neutralizzata in ambito percettivo. Il video, lascia il posto alla videalità (conio del poeta Gianni Toti), un’unità espansa, in cui le peculiarità del video sono nebulizzate in una coltre estetica immersiva.
In questo senso, il video assume la valenza di una tecnologia sociale che ha la potenzialità di divenire emancipativa o empatica, dove per empatica si intende allineata all’ideologia dominante².

Appare dunque chiaro come questa distinzione sia pienamente congruente con quella fra pornografia mainstream e pornografie alternative. Nello specifico, la capacità del video di generare una reazione “empatica” è ulteriormente aumentata dal gradiente corporeo che le pornografie portano con sé. Una doppia Einfuhlung³, che deve dunque essere costantemente ponderata e interrogata. La volontà di generare una reazione esclusivamente empatica (come avviene nella pornografia mainstream), fa leva sulle funzioni dei neuroni specchio del soggetto, limitandone la consapevolezza cognitiva e le possibilità di agency, di scelta. Per lo stesso motivo, le immagini in movimento permettono un processo di soggettivazione politica e, in ultima analisi, di emancipazione spettatoriale

Le due nature del video (pornografico), non possono essere sempre scisse. Lo “scopo” dell’immagine in movimento prevarica spesso quello impostato dai suoi creatori. Tuttavia, una codificazione come quella appena espressa, permette non solo di “prendere sul serio” produzioni che utilizzano il linguaggio del pornografico, ma di decretarne potenzialità molto specifiche. Potenzialità legate non solo al funzionamento semiotico del pornografico (ancora tutto da indagare nelle sue riedizioni tecnologiche), ma anche alle sue conseguenze sociali.

R.M.

¹ Traduzione dall’inglese dell’autore. “It is no longer a question of saying what was done – the sexual act – and how it was done;but of reconstructing in and around the act. The thoughts that recapitulated it. The obsessions that accompanied it. The images, desires, modulations, and quality of the pleasure that animated it” (Foucault 1978, p.63).

² Definizioni fornite da Vincenzo Estremo in occasione della sua lezione a Campo, corso per giovani curatori, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 28/05/20.

³ “Einfühlung Concetto, solitamente reso con empatia” o “simpatia simbolica”, (la traduzione letterale è «immedesimazione») posto alla base della teoria estetica elaborata da R. Vischer (Über das optische Formgefühl, 1873) e T. Lipps (Ästhetik, 1903-06), secondo la quale l’arte è l’immedesimarsi del sentimento nelle forme naturali, a causa di una profonda consonanza o simpatia tra soggetto e oggetto” (Treccani).

Bibliografia:

Biasin, E, Maini, G, Zecca, F (a cura di), Lehman P (con una postfazione di) 2011, Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 

Di Marino, B 2013, Hard Media. La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web, Johan & Levi, Milano 

Foucault, M 1978, The History of Sexuality, Vol. 1: An Introduction, Trad da Robert Hurley, Pantheon Books, New York. (Translation of La volonté de savoir. 1976.) 

Williams, L 1989, Hard Core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press, Berkley 1999

Williams, L (a cura di) 2004, Porn Studies, Duke University Press, Londra 

Ullén, M 2009, Pornography and its critical reception: toward a theory of masturbation, in Jump Cut: A Review of Contemporary, No. 51, spring 

Žižek, S 1997, Che cos’è l’immaginario, Il Saggiatore, Milano 2016