LOOK AT ME – INTERVISTA CON Giulia Crispiani 

Giulia Crispiani (Ancona, 1986) è una scrittrice e artista visiva che vive e lavora a Roma, dove collabora con Nero Editions. La sua pratica si sviluppa a partire dalla parola scritta, privilegiando interviste, lettere d’amore e manifesti come esiti formali della sua ricerca. Il suo lavoro è stato presentato presso numerose istituzioni e spazi no-profit tra cui: Roma Europa Festival; Center for Book Arts, New York; Almanac Inn, Torino; Centrale Fies, Dro; Short Theatre, Roma; MACRO, Roma; Quadriennale di Roma 2020; Il Colorificio, Milano; FramerFramed, Amsterdam. È autrice dei libri Incontri in luoghi straordinari / Meetings at remarkable places (Nero Editions 2020), What if Every Farewell Would Be Followed by a Love Letter (Union Editions 2020), What if I can’t say goodbye (Union Editions 2021), Petra (Rerun books 2018), e coautrice di غم/Tristezza/Sorrow (Oreri 2021) e Albe e Tramonti di Praiano* (Oreri 2022). 

Giulia Crispiani, Saliva. LED, 60x36cm, 2022. Neon realized by Rosa Musco. ph. Lorenzo Lanzo, IIF, Lomography.

TBD: La tua ricerca si appropria della parola attraverso uno sguardo multidisciplinare. La tua pratica appartiene a un territorio liminale, in oscillazione tra poesia e arte partecipata. Pensiamo alla lettera da te realizzata per la corrispondenza postale Dear You, progetto del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna curato da Caterina Molteni, ma anche a Incontri in luoghi straordinari, opera realizzata per La Quadriennale di Roma nel 2020 e parzialmente diffusa tra la cittadinanza attraverso i cartoni per la pizza d’asporto. Come coniughi poesia e arte partecipata all’interno della tua ricerca? In particolare, come la poesia assume una dimensione partecipata, inclusiva ed allargata? 

G.C.: La partecipazione nell’arte è una tautologia, altrimenti scriveremmo o produrremmo  per noi stesse, così come la “site-specificity” o la situazione di per sé per cui il lavoro viene costruito o in cui viene condiviso è sempre particolare – contiene parametri che sono inglobati nel testo e nel modo in cui viene distribuito. Diciamo che la mia scrittura si situa proprio nell’incontro fortuito con il pubblico, quindi un po’ radicata nella situazione che la ospita, un po’ indipendente dal mio controllo, perché una volta che viene consegnata, viaggia e esiste al di fuori di me – auspicabilmente, nelle altre. 

TBD: Per Look at me hai esposto lavori dalle diverse estetiche. Saliva, un neon posto sopra al bancone del bar che richiama, per sua stessa natura, l’attenzione “pubblica” dell’intero pubblico presente, assumendo la funzione di payoff e statement dichiarativo. Quantomeno dal punto di vista formale, questo lavoro si contrappone a Gustosa, frammenti su schermo video di più piccola dimensione disseminati nello spazio e caratterizzati da una dimensione più gestuale, discreta e intimista. Come hai pensato di creare questo doppio livello di lettura, mediale e concettuale? Come ti sei posta in relazione allo spazio? 

G.C.:Il neon vuole inserirsi dentro quello che c’è già, come appunto oggetto funzionale per una location già ricca di stimoli visivi e sensoriali, in senso allargato – la salivazione è un sintomo che precede un piacere. Gustosa non è un video, ma un testo più lungo (quello dell’audio) di cui alcuni estratti sono stati inseriti su schermi led già presenti nello spazio, come a voler diventare ritornelli ricorrenti. Gustosa è un pensiero, recondito e ricorrente, di fatto una celebrazione del sesso orale. In dialogo con Sara e le altre curatrici, s’era deciso fin dall’inizio di occupare la saletta privé con un audio, e anche lì insomma questo pensiero vuole inserirsi come un’insistenza di un qualcosa che già accade in quello spazio, e celebrarlo in modo quasi religioso, come se fosse una preghiera, una lode – dio benedica il piacere (orale e in tutte le sue forme).  

TBD: Il tuo lavoro viene definito in molte occasioni per la sua capacità di incorporare la forza dei movimenti femministi. In particolare i lavori più intimi, dedicati a una fruizione one to one, affrontano tematiche erotico-sovversive. In che modo la tua pratica sovverte e sradica le logiche patriarcali del linguaggio? E come avviene questo nei lavori esposti nella mostra? 

G.C.:L’incorporazione di forza dei movimenti femministi credo si riferisca a lavori specifici passati, ma continua a seguirmi come uno strascico (proprio questa frase): di certo la mia bibliografia di riferimento cresce su quel filone, di una saggistica e di una letteratura – e poesia – scritta da voci queer e sovversive. “In che modo la tua pratica sovverte e sradica le logiche patriarcali del linguaggio?” – questo è stato scritto su di me, non è un mio statement, quindi dovete dirmelo voi. In generale sussurrarsi le cose all’orecchio, di per sé e in tante situazioni diverse, è già sovversivo abbastanza.

TBD: Il rapporto tra il corpo e la parola è un fattore non sempre consapevole nei processi comportamentali e cognitivi dell’essere umano. Nei confronti di questo binomio le opere esposte si basano sulla valorizzazione del corpo come strumento e tramite erotico e sonoro. Come si è posta la tua pratica in un luogo connotato come il Luxy Club? Quale pensi sia il ruolo della parola tra tutti i corpi presenti durante l’evento? Qual è il ruolo della composizione poetico-testuale, che richiede attenzione e tempo, in un luogo caratterizzato da forti sonorità e ritmi veloci e fugaci? 

G.C.: L’erotismo – e la sovversione, e la politica, e la poesia e qualunque altra cosa – passa dal corpo. L’esperienza di un corpo altro, se ascoltiamo, può portarci su altri piani del percettibile, del fruibile, del praticabile. Ovviamente dipende più da chi ascolta che da chi scrive. Il Luxy è stata una preziosa occasione di pensare a qualcosa che funzionasse da tributo, più che da intervento, date le forti connotazioni di un luogo che esiste indipendente dalle nostre voci e dal nostro lavoro. Siamo noi quasi, che come un cliente occasionale diventiamo voyeur e costruiamo un’impressione, un pensiero che diciamo ad alta voce, per farlo rimbombare per qualche ora prima che si vanifichi del tutto. Il testo è un lascito, un ricordo, che se qualcuna vuole può portarsi con sé – oppure no.

Giulia Crispiani - Installation view at Luxy Club - Look at Me, 2022 - Courtesy the artist, Ottn Projects and Fondazione Marcelo Burlon - Milano IT - ph. Lorenzo Lanzo, IIF, Lomography