LOOK AT ME – INTERVISTA CON Flaminia Veronesi
Flaminia Veronesi vive e lavora a Milano. Dopo un’anno di Foundation Course alla Central Saint Martins nel 2009 si laurea alla Chelsea University of Arts and Design. Il suo lavoro, dedicato alla rappresentazione del fantastico in un linguaggio visivo contemporaneo, popolato di creature mitologiche e figure oniriche, invita lo spettatore sulla soglia del reale sfidandone i confini e i suoi tabu’ e restrizioni. Flaminia ha esposto in group shows a Londra, Milano, Parigi e Zurigo sviluppando un linguaggio visivo eclettico che varia dalle installazioni, alle sculture, a oggetti a disegni e quadri. Le sue ultime personali sono state a Milano, Garden of Fabtasy, per il T Magazine a Villa Necchi Campiglio (2022) Masculin/féminin da Castiglioni ( 2021), Immediato Giocondo da Fotonico Window (2019), e Tette Fotoniche da Fotonico Window (2018).

TBD: Nella radice etimologica del termine simbolo c’è sia l’idea di con-fusione quanto di com-posizione. Da qui nasce una ambivalenza fondamentale tra la possibilità del simbolo di farsi abisso o sintesi di molteplici significazioni. La tua pratica artistica viene spesso descritta come portatrice di un “linguaggio simbolico” che unisce reale e fantastico. In che modo questa duplicità nella natura del simbolo si ritrova nelle tue opere?
F.V.: L’immagine è simbolo e ogni linguaggio figurativo è simbolico. La duplice natura di con-fusione e com-posizione è insita nella rappresentazione visiva, una duplicità in contrasto con una concezione univoca e razionale del reale perché, mentre la parola rappresenta isolando singoli elementi dal caos, le immagini veicolano simultaneamente molteplici elementi accorpandoli in un segno. Il simbolo agisce nell’inconscio attraverso le associazioni che compone, ciò lo rende particolarmente potente e infatti il suo utilizzo oggi è largamente diffuso. Attraverso il progetto di mostra Look at me ho messo a fuoco che non sempre si è del tutto consapevoli di ciò che si guarda e si mostra e che va incoraggiata una lettura critica dei linguaggi visivi che creiamo e fruiamo. Con l’avvento dei social media le immagini imperversano e veniamo costantemente sollecitati e invasi nel privato dai dettami di questo “immaginese” del marketing e della cultura visiva dominante. Sui social ciascuno di noi è così incoraggiato a produrre un personale linguaggio visivo. Spesso, senza possedere gli strumenti per generare contenuti, ci riduciamo a mercificare la nostra identità scimmiottando i media degli ultimi decenni. Ciò ha portato in molti casi alla pornografia dell’intimità dei corpi e delle vite e a finalizzare una buona parte dell’esistenza alla produzione di contenuti visivi.
In tempi che incoraggiano a spogliarsi in cambio di followers e likes, e riducono l’eros a cartamoneta di scambio per un posto nella gerarchia dei social, invitare un audience a confrontarsi con opere di artisti contemporanei in dialogo con le performance delle ballerine di uno strip club è una sfida coraggiosa. Il progetto offre a tutti l’occasione di confrontarsi con le contraddizioni di un sistema che incoraggia l’espressione della natura erotica solo in contesti controllati dallo scambio “eros=potere”, legge di mercato a cui le donne sono sottoposte da secoli e ora diffusa senza distinzioni di genere. Che margine d’azione abbiamo in questo meccanismo “eros=potere” nel mostrarci e nel guardare? Esercitiamo spirito critico nel fruire e proporre un linguaggio simbolico? Qual è il potenziale della natura erotica se liberata dalle sovrastrutture di potere e consumo?
TBD: Il simbolo ha la capacità di condensare memoria e di mobilitare energie, dunque dal presente al passato e al futuro, tenendoli tutti e tre assieme. I simboli infatti legano il senso dell’arcaico con quello del futuribile. In che interpreti questi simboli visivi che proponi dal punto di vista temporale e culturale?
F.V.: La mia ricerca si concentra sul ruolo del gioco e della fantasia in un dialogo creativo con il reale anche in età adulta. Nelle mie opere si trovano sirene e draghi recuperati dal patrimonio del meraviglioso e del fantastico ma anche ibridi utopici di umani, animali, piante e natura, generati negli anni dal mio giocare con la fantasia. Ricerco una simbologia che tracci una direzione per il futuro mettendo in dialogo una preistoria fantastica con un post-antropocene in cui più realtà ibride coesistono. Queste rappresentazioni si contrappongono alla struttura piramidale del capitalismo, consumismo e patriarcato perché abbracciano una visione d’identità collettiva e d’interdipendenza.




TBD: In che modo il piacere dello sguardo – il piacere sensibile tout court – si rapporta con le creature ibride e mostruose che esponi nella mostra Look at me? Perché hai scelto di creare disegni dal vivo durante l’evento?
F.V.: L’archetipo della sirena esprime la sintesi fra senso e ragione dell’eros in cui la parte bestiale e quella oscena di noi vengono trasposte su un piano sovraumano. Ho voluto disegnare durante l’evento per restituire il mio sguardo alla performance delle ragazze attraverso un atto creativo. Anche nelle settimane che hanno preceduto l’evento ho disegnato le ragazze durante le loro danze. Partendo dagli schizzi fatti al club, ho dipinto degli acrilici dove ho trasfigurato le ragazze in Sirene; acrilici che sono poi stati esposti in uno dei privè, affiancati agli schizzi che li hanno ispirati. Durante l’evento le ragazze si sono inaspettatamente proposte di posare per me, instaurando uno spazio in cui si offrivano allo sguardo, alternativo e parallelo a quello del palco. Due circuiti di un mostrarsi e guardare che sono entrati in comunicazione grazie alla proiezione del foglio, su cui disegnavo, sulla parete di sfondo al palco.
TBD: Sfidare i confini e superare i tabú sembra essere quello a cui aspirano i mondi e i personaggi che idei nei tuoi disegni. Le sculture, di grandi dimensioni, abitano autorevolmente lo spazio dello strip club sottostando alla vista dei fruitori. Data la loro staticità riescono a condensare gli opposti, a presentarsi sia come oggetti dello sguardo sia come guardanti. In questo spazio fatto di movimenti, le tue sculture instaurano un particolare rapporto con il fruitore richiamandosi alla corporeità di chi guarda e di chi balla, che si confronta con i tuoi corpi inerti. Quale potrebbe essere per te il rapporto fra corpi vivi e reali, corpi inermi e mostruosi, ma anche idealizzati e fantastici che erano in mostra in Look at me?
F.V.: Per me l’arte non è inerte, invita lo spettatore a entrare in dimensioni parallele animandole con il suo sguardo. Le sculture di sirene esposte nelle gabbia che affiancano il palco hanno accompagnato i visitatori e le ragazze nella serata: erano totem del paradosso di quel luogo, per cui l’eros viene liberato ma solo in gabbie, e il canto delle sirene viene ascoltato ma solo se si è legati all’albero maestro della nave. Siamo in grado di vivere l’eros aprendo le gabbie e slegandoci dall’albero? Riusciamo ad accogliere performance erotiche senza il bisogno di giudicare, possedere e consumare? Possiamo iniziare a creare nuovi palcoscenici in cui guardare e mostrarci prendendo una posizione responsabile e critica nei riguardi di questa mercificazione e sfruttamento dell’eros?














