LOOK AT ME vol. ii – INTERVISTA CON BAROKTHEGREAT

Barokthegreat è una collaborazione artistica tra Sonia Brunelli e Leila Gharib (aka Sequoyah Tiger). Vivono, lavorano e studiano a Verona. Fin dalla sua formazione nel 2008, Barokthegreat opera nell’ambito delle Performing Arts. Il loro immaginario sorge nel legame intimo e antico tra la danza e la musica, nelle dinamiche di aderenza tra il gesto coreografico, la fisicità del suono e l’architettura dello spazio come dispositivo abitativo. Barokthegreat, in stretta collaborazione con artisti internazionali, inscena spaccati di mondi interiori dove si catapultano figure del passato e del contemporaneo. E’ costante la rappresentazione del conflitto delle emozioni tra luce e ombra, anamorfico e familiare. Mettono piede in teatri, club e luoghi specifici.

BAROKTHEGREAT, "L’Attacco del Clone", 2023, @LOOK AT ME vol. II, photo by Dalila Slimani

TBD: Come è nato Barokthegreat? Quali sono gli aspetti fondativi che portate con voi dal 2008 fino ad oggi? Cosa invece è cambiato?

BTG: Barokthegreat è nato durante un viaggio estivo in camper, ci siamo fermate a Norimberga per una breve sosta e visitando la città ci siamo imbattute nell’insegna turistica Barockgärten. Seguendo le indicazioni ci siamo ritrovate tutt’altra parte,  senza trovare, né visitare, questo giardino barocco. Abbiamo fantasticato a lungo su questo fatto, legando mille storie alla parola Barock fino a farla diventare il nome del gruppo, ma anche un personaggio con i baffi, uno scioglilingua e altro ancora. Dalla nostra fondazione portiamo sempre con noi le discipline della musica e della danza; la relazione che si instaura tra di esse è materia vibrante per l’espressione estetica. Cosa è cambiato dal 2008 a oggi non sappiamo descriverlo precisamente, ci sentiamo piuttosto in continuo mutamento. Ci accorgiamo di fare spesso lo stesso pensiero, di tornare sugli stessi passi pur raffinando la tecnica e il linguaggio. L’andirivieni descrive bene il moto del nostro percorso artistico: una scrittura compositiva che va e viene, cambia e ritorna.

TBD:  Il suono nei vostri lavori ha un ruolo centrale. La fisica ci insegna che le onde sonore hanno una propria materialità, hanno la capacità di influenzare, spostare e addirittura danneggiare i nostri corpi. In che modo interagite con questo medium, come lavora il suono su di voi e sul pubblico? 

BTG: La fisicità del suono è un parametro importante con cui ci relazioniamo nella costruzione dei nostri spettacoli. All’inizio di ciascuna produzione quindi rimettiamo in discussione la presenza del suono partendo da zero. Quale tipologia di strumenti utilizzare; a quale suono mirare; come metterlo in scena; se legato alla gestualità del musicista o in forma acusmatica; che tipo di proiezione sonora vogliamo disegnare? Tutte queste domande si fondono con altre questioni tematiche, sceniche, coreografiche che procedono intrecciate. Le risposte arrivano in modo artigianale, prendiamo in mano gli strumenti o i materiali sonori da cui abbiamo deciso di partire e ci lasciamo coinvolgere in prima persona. L’urto che le scelte sonore avranno sul pubblico arriva di conseguenza e arriva sempre nella fusione dei linguaggi che utilizziamo, mai in modo autonomo.

TBD:  In quali modi l’architettura nella quale avvengono le vostre performance si trasforma in un dispositivo abitativo? Nel caso di un contesto connotato come il Plastic quale metodologia avete utilizzato? 

BTG: Pensiamo spesso all’idea di “organismo vivente”, progettando dispositivi scenici dove i principali elementi, luce, suono e corpo, sono interdipendenti dallaltro e si alimentano a vicenda nella temporalità dell’azione. Agiscono per risonanza e appaiono e svaniscono ritmicamente. Lo spettatore è parte integrante del sistema, invitato ad attraversare l’ambiente fisicamente in un tutt’uno in divenire. Il Plastic per sua natura è un potente spazio performativo fluttuante e rituale, pronto ad accogliere una moltitudine di corpi in transito, in ballo e in stato di trance. Ci siamo inseriti nello spazio con L’attacco del Clone, una performance audiovisiva. Durante il sopralluogo, qualche settimana prima dell’evento, abbiamo studiato la migliore fruizione del lavoro. Siamo intervenuti con tecnici e curatrici adattandoci alla morfologia del locale. Sul palco sono stati posizionati degli spessori, strisce di legno utili alla danzatrice come segnali-tattili per indicare la fine dello spazio calpestabile. Le strisce sono state poi coperte da un tappeto del locale come a ripristinare l’arredamento originale. Questo trucco ha reso il palco funzionale per la specificità della posizione di schiena della danzatrice, accompagnando i suoi movimenti all’indietro. La proiezione video è stata posizionata in diagonale rispetto al piano dello schermo, forzando una leggera deformazione dell’immagine. In questo assetto il fascio della luce-video tagliava lo spazio del locale trasversalmente, segnando fisicamente il tragitto della proiezione dell’immagine-mediata in cui appare la figura del Clone, e legando lo spazio del pubblico all’azione scenica. 

TBD: Nei vostri lavori emerge la predilezione per collaborazioni anche al di fuori del vostro collettivo. Pensiamo ad esempio a GHOST, realizzato in collaborazione con il regista e designer Simon Vincenzi. Come prendono forma le collaborazioni con altri artisti internazionali? 

BTG: Barokthegreat si fonda sulla collaborazione artistica di un duo ma spesso da sole non riusciamo a comporre spettacoli di lunga durata pieni di complessità, che necessitano di ulteriori energie e idee. Simon Vincenzi è il nostro artista preferito, amiamo le sue opere e abbiamo avuto la fortuna di lavorare con lui sia nel 2008, all’origine della nostra formazione, che nel 2018, dopo dieci anni, proprio in occasione di Ghost, il nostro ultimo lavoro. A lui dobbiamo tanto, come il coraggio della sperimentazione e la capacità di lavorare nella danza e coreografia con la tematica del fantasma e dell’inconscio. Le collaborazioni prendono forma da una stima profonda, amiamo i progetti visivi e sonori di tutti gli artisti con cui abbiamo lavorato e lavoreremo: sono collaborazioni molto strette e legate da un sentire comune riguardo la vita e l’arte. Durante la produzione di uno spettacolo si vive insieme per uno o più mesi all’estero e questo alimenta la sostanza delle idee impiegate nel processo artistico.

TBD: Il titolo della performance L’attacco del Clone, presentata in Look at me vol. II, rimanda all’idea di una copia identica e fedele all’originale, oltre che a una duplicazione biologica di corpi; che ruolo ha la speculazione fantascientifica nel vostro processo creativo? Come avete presentato sulla scena l’idea di moltiplicazione del sé? Ritenete che oggi esista questa dimensione anche nella vita quotidiana? 

BTG: La realtà e la finzione sono opposti che attraversiamo spesso nel nostro ruolo di artisti, interpreti e scrittori di azioni sceniche sonico-gestuali. I racconti di fantascienza in questo senso ci vengono incontro perché giocano su questa polarità colmando la distanza tra il presente e il futuro immaginato. Nel nostro processo artistico osiamo immaginare, dare forma a quello che ancora non c’è. Sfruttiamo la mancanza come risorsa per creare un immaginario. Difficilmente usiamo elementi della realtà così come appaiono, preferiamo processare, trattare, filtrare i materiali come se passassero da condotti di elettricità. L’idea della moltiplicazione ne L’attacco del Clone è tecnicamente costruita nello sdoppiamento dell’immagine dell’interprete, la stessa in video che dal vivo.  Sentiamo molto forte questo doppio, seppur non esplicitato per lo spettatore. Si tratta di un’immagine cinematografica dove è ripresa una figura acefala a mezzo busto, vestita con una gorgiera di tulle, di colore vivido su fondo nero e inquadrata da una cornice dorata barocca. Abbiamo lavorato con effetti video per ottenere la figura fantastica del Clone animata da una partitura degli arti superiori: movimenti della braccia, mani e dita eseguiti con gesti di simmetria o ciclici. Frontalmente a questa immagine cinematografica del Clone è disposta la danzatrice nella sua intera presenza. Tra le due figure si instaura un dialogo teso di rimandi e piccoli sfasamenti, enfatizzati dalla soundtrack originale. La moltiplicazione evoca dinamiche di alternanza dei ruoli, il prima e il dopo, l’unisono e a-sincrono. Il gesto coreografico evolve a specchio, incorporato e abitato da entrambe le figure. La tensione ed emotività si ispessiscono fino ad uscire completamente dalla cornice cinematografica di riferimento. La forma originaria di debutto di questo lavoro era su due scale gemelle che permettevano di sdoppiare il dispositivo audiovisivo: in contemporanea replicavano due performance, con due interpreti e due pubblici diversi.
La vita quotidiana oggigiorno non contempla più una sola dimensione, la realtà è multidimensionale: la nostra immagine viene mediata dai dispositivi digitali. Siamo presenza e anche apparenza, conviviamo con la proiezione del corpo e dei corpi percepiti in un altrove.