DUE ALLA VOLTA

di Vincenzo Estremo

 

“Are we crazy?
Livin’ our lives through a lens
Trapped in our white picket fence
Like ornaments
So comfortable, we’re livin’ in a bubble, bubble
So comfortable, we cannot see the trouble, trouble”.


(Katy Perry, Chained To The Rhythm, 2017)




Alla fine degli anni settanta il dirigente Bruto Saraccini passava da un gruppo d’impresa all’altro appurando la fine dell’utopia industriale a cui aveva pensato di contribuire mediando tra sviluppo e progresso. Qualche anno dopo, in un tempo indefinito tra l’oggi e un possibile futuro, i luoghi in cui lavorava Saraccini, gli ampi spazi urbani con architetture possenti costruite anni addietro dal Megagruppo, sono in stato di abbandono. Quelle infrastrutture di controllo, collassate insieme all’industria come “bene pubblico”, sono oramai degli scheletri inefficienti. Questo tempo immaginato è descritto tra le pagine de Le mosche del capitale, il romanzo di Paolo Volponi che nel 1989 osservava il declino industriale del Paese. Un tempo in cui mentre falliva l’utopia modernista dell’industria si preparava un nuovo ordine politico-economico simile alla distopia sociale in cui siamo immersi in questo momento. Una società capillarmente privatizzata e profittevole, ideologicamente al servizio del capitale e dedita al monoteismo finanziario. Una società dell’ovvio, costruita sulle purghe del TINA (There Is No Alternative) – lo slogan neoliberista battezzato da Margaret Thatcher e recitato da Ronald Reagan – che dispone di una propria ricca metafisica e di un multiforme dispositivo di legittimazione teologico, del tutto diverso dal suo diretto precedente. Ecco, in questo testo proverò a parlare di una delle sue componenti, di qualcosa che a ben vedere va oltre il visibile e che ha a che fare con l’operatività e la temperatura delle immagini. 

Termocop

Iniziamo quindi con il parlare del calore e continuiamo con la storia raccontata da Volponi, agganciandoci alle transizioni tecnologiche del tardo capitalismo: a partire dal momento di mezzo raccontato nel romanzo siamo come scivolati lentamente giù per un piano inclinato che ci ha condotti alla psicosi contemporanea. In questa condizione ci ritroviamo ad avere allucinazioni ricorrenti, perdita di contatto con il mondo sensibile, angoscia, inquietudine e un incontrollabile sensazione di caldo. Una febbre generalizzata in cui la temperatura determina condizioni sociali vive. Il mondo prima della New Economy, legato a forme di accumulazione capitalista tradizionale e a un dibattito dialettico tra produzione industriale e garanzia dei diritti dei lavoratori, è stato sostituito da una sistema il cui mantra sta nella circolazione e nelle responsabilità personali. Il mondo di prima ha trovato requie e nuova funzione, congelandosi in un ricordo nostalgico. Le strutture di legittimazione del capitalismo di Saraccini sono ormai state ridefinite in modo tale da rendere impossibile qualsiasi negoziato. L’era glaciale del patto per lo sviluppo finisce lasciando visibili le rovine del Megagruppo e una sensazione di augmented-nostalgia, o di Morestalgia come la chiama l’artista Riccardo Benassi(1). Una cappa atmosferico-digitale che propone un’alleanza intorno a un passato apparentemente  condiviso in degli spazi che non hanno più senso, in delle strutture urbane che il caldo ha trasformato nella loro estensione visibile attraverso richiami emozionali a interfacce ludiche e giocose. Il contesto in cui siamo non è più quello di Volponi, ma molto più prosaicamente assomiglia, forse con meno vena caricaturale, al video musicale della canzone Chained To The Rhythm di Katy Perry e Skip Marley, in cui il discorso auto-critico, tipico della cultura pop americana dagli anni cinquanta (il video non a caso è ambientato in un futuristico luna-park dell’epoca), suona come una profezia inascoltata, per quanto ampiamente ballata, che esplode nella rivelazione finale cantata da Skip Marley: “time is ticking for the empire”. Il conto alla rovescia è quello di uno spazio urbano-umano oggetto di una grande sostituzione, con le immagini viscose e zuccherine che coprono le cose. Un nuovo ordine di fatto, in cui alle persone che indossano rose-colored glasses, come canta Katy Perry, si contrappone la realtà del controllo termo-demografico dei grandi distretti urbani della Repubblica Popolare Cinese in cui le unità di polizia istituite per vigilare e prevenire il diffondersi del COVID-19, vengono equipaggiate con dei caschi che possono misurare rapidamente la temperatura corporea degli individui anche se dispersi nella folla. Abbiamo quindi due regimi del visibile: quello che ci “incatena a un ritmo” e quello delle termocamere a infrarossi che invece eseguono scansione dei codici QR sui soggetti inquadrati e ottengono un report informativo associato al riconoscimento facciale del soggetto interessato. La premediazione (2) di RoboCop e del controllo biopolitico dell’imaging sono fattuali nei Termocop cinesi, mentre la rappresentazione del reale ruota intorno al cadavere spolpato di un tempo indeterminato e di una società che era qui solo qualche decennio fa. Il vecchio sistema capitalistico diventa a sua volta un’immagine romantica e giocosa. Diapositive stampate dal web di cui si è persa la matrice: il vecchio mondo è morto, ma serve ancora perché quello nuovo pretende di farlo ri-apparire. 

Hot 

Se tutto è caldo, dalla temperatura globale che si innalza a causa del capitalocene, agli spazi soffocanti in cui viaggiano i migranti che dal Sud del mondo scappano da crisi umanitarie causate dal caldo stesso, allora sarà necessario misurarla davvero questa temperatura. Ma cos’è davvero il caldo se applicato all’agentività dell’immagine? Il caldo è in realtà ciò che, seducente e convincente, veicola le nostre conversazioni. Una temperatura che altera la linea della comunicazione e dissacra “il patto intorno alla verità” (3) così come accadeva alle palline riscaldate che provavano a condizionare le estrazioni del lotto fatte a mano da bambini bendati. D’altronde l’espressione sessista “Hot Chick” (tradotto letteralmente con “pollastrella”), molto diffusa nella college culture americana, indica proprio questa strada, descrivendo un universo femminile fatto di ragazze di bell’aspetto che riescono a ottenere tutto quello che desiderano proprio grazie alla loro avvenenza. Questa espressione si associa a delle immagini che  – oltre a generare un parallelo offensivo fra il corpo della donna e quello di un animale, (la gallina o il pulcino, per l’appunto), e oltre a esprimere discriminazione su base di genere e di razza (le carni dei volatili sono bianche) – sono in grado da tempo di operare una manipolazione (4). Manipolazione termica della comunicazione che si attua mediante una diretta e diffusa sessualizzazione di immagini e di  atteggiamenti sociali. Una patina che cola addosso ai soggetti come vaselina liquefatta al Sole come nei modelli in silicone di Cajsa von Zeipel che si muovono, non a caso, in un ambiente post-apocalittico in cui a fondersi non è stato il nocciolo di una centrale nucleare, ma il sistema di raffreddamento di un centro commerciale suburbano. Questi manichini sono ricoperti di uno slurm (la bevanda a base di bava di lumacone che provoca dipendenza in Futurama) che fa in modo che sui loro corpi si appiccichino e si fondano brandelli di beni di consumo. Il nuovo melting pot non è più su base etnico-religiosa e non genera le creolizzazioni di culture diverse, ma si realizza a partire da una commistione bio-tecno-economica. Gruppi scultorei di una nuova umanità imprigionata e alimentata dai propri gadget, satiri iper-sessualizzati, che si accoppiano amalgamandosi alle cose, collettivi mutanti e ibridi che stabiliscono una loro ideologia solipsistica ben definita come linea di condotta sociale. Eccoci giunti a un punto, ovvero al motore di queste figure, alla lepre (5) dietro a cui stanno correndo. L’ideologia dell’immagine hot in questo caso non è un’illusione deterritorializzante, qualcosa che allo stesso tempo nega e confuta la realtà, ma piuttosto una costruzione che serve a doparla. Il calore è un’ideologia che regola e governa le reali relazioni sociali, mascherando in tal modo qualsiasi insopportabile constatazione fattuale. La funzione di queste immagini hot – o meglio di queste costruzioni – non è quello di offrirci un punto di fuga, ma piuttosto una fuga da qualsiasi ipotetico e plausibile trauma (6). Quindi se l’ideale, o forse sarebbe meglio dire l’immagine proiettiva, è quella di noi come entità autosufficienti e  asettiche, come figure senza fronzoli e dalle linee pulite e minimali, in cui la mindfulness e i gadget Apple ci dicono come regolare la soglia di stress, l’ideologia sociale dell’immagine che produciamo è invece ipertrofica. Un accumulo in cui all’immagine di noi si sovrappongono tutte le possibilità di immagine di noi stessi, in cui l’iper-presenza e l’occupazione dell’aria sono collaterali alla nebulizzazione delle tracce digitali. 

Vinkensport

Mentre pensavo a questi effetti sociali e all’innalzamento della temperatura dell’immagine, mi sono ricordato di una pratica che poi ho scoperto essere molto comune nelle Fiandre e in Belgio. Sto parlando del Vinkensport (sport dei fringuelli), ovvero di una competizione in cui si giudicano la bellezza e il canto di alcuni uccelli in cattività. In particolare ho pensato alla prassi di certi allevatori di torturare gli animali accecandoli con degli aghi roventi in modo da annullarne le capacità visive e ridurne le distrazioni. Gli uccelli accecati cantano disperatamente per ore, aumentando la loro performatività per ovviare al disorientamento scaturito dalla perdita di uno dei loro sensi. Con un po’ di fantasia si potrebbe immaginare la cultura hot dell’immagine come una sorta di canto disperato di soggetti non più in grado di ritrovarsi nella complessità dell’iconosfera contemporanea e per questo iper-appariscenti. Le immagini hot si situerebbero quindi in un tentativo di condizionamento della comunicazione che assume i contorni della gara. Una manipolazione in cui sono gli stessi attori o produttori di immagini a far leva su condizioni o caratteristiche specifiche all’interno dell’ecosistema del visivo, nel tentativo di generare l’attenzione del pubblico che a differenza del passato, è a sua volta impegnato nell’influenzare chi tenta di influenzarlo. Questa manipolazione orizzontale, diversa dal controllo verticistico che apparteneva a un altro stadio della socialità delle immagini, provoca una larga diffusione della disinformazione. Insomma è come se assumessimo che la natura stessa dell’immagine digitale, la sua ipertrofia, la sua distanza da un referente reale, abbia prodotto un accecamento e di conseguenza degli atteggiamenti di esasperazione dell’immagine stessa. A questa mistificazione e incatenamento orizzontale, però, sopravvive un controllo verticale esercitato soprattutto mediante un imaging tecno-astratto. In questo contesto il paradigma del potere, dell’agentività e dell’operatività dell’immagine si delinea complesso, molto più di quanto io riesca a definire. Volendo però schematizzare si potrebbe dire che da un lato abbiamo le immagini calde e dall’altro lato delle immagini che controllano la temperatura. Queste due categorie di immagini concorrono da un lato a costruire un’ideologia e dall’altro un nuovo spettro biopolitico a partire dal quale è possibile, in qualità di soggetti agenti e agiti, porsi un’importante, seppur irrisolvibile, domanda: quale tattica possiamo usare per sfidare una struttura di potere diffusa e che resta invisibile nella sua essenza? Ed eccoci giunti ai propositi sull’immagine, a un possibile approccio o a un’analisi critica sulla cultura visuale. Un’ipotesi che credo debba sempre contemplare una doppia azione. Infatti, alla critica visuale è necessario affiancare un approccio tecnologico, perché se agire sull’immagine è necessario, farlo due volte alla volta è forse l’unico modo efficace per farlo. 

Riccardo Benassi, Morestalgia, 2020. ©Riccardo Benassi, Fotografia di: Andrea Rossetti. Courtesy: l'artista.

Note

  1.  Per approfondire http://www.xing.it/event/441/morestalgia
  2. In questo caso il concetto di premediazione intende descrivere l’atteggiamento che mira a individuare futuri potenziali in grado di affrontare non ciò che sta accadendo ora o è accaduto in passato, ma ciò che accadrà o potrebbe accadere a breve. (Cfr. Grusin 2010).

  3. La rottura del patto della verità, o forse la rottura dell’accordo intorno la negoziabilità della verità è alla base del concetto di post verità che filosoficamente parlando definisce una caratteristica essenziale del mondo contemporaneo, ovvero l’alleanza tra la potenza modernissima del web e il più antico desiderio umano, quello di aver ragione a tutti i costi e che in maniera del tutto consapevole definisce la critica alla definizione di cinema verità o di documentario. (cfr. Steyerl 2011, Ferraris 2017)

  4. In un altro testo suggerivo il parallelo tra manipolazione e sessualizzazione prendendo come esempio il film di Jonathan Glazer Under The Skin (2014) in cui un alieno vive sotto la pelle di Scarlett Johansson, sfruttando l’avvenenza della donna per alimentarsi della vita degli esseri umani. Cfr. Vincenzo Estremo, Remove protective film before use, in, AA.VV. Fuori, Fuori, Fuori, Fuori, Fuori, Quadriennale d’arte 2020, Treccani, Roma 2020.
  5. Il termine lepre viene mutuato in questo caso dall’ambito dell’atletica leggera dove, in alcune gare, i recordman e recordwoman delle discipline di mezzofondo fanno ricorso a dei battistrada in grado di mantenere il ritmo di corsa elevato al fine di battere i record sul tempo. Il termine lepre è ovviamente a sua volta mutuato dalle gare cinofile in cui dei cani corrono letteralmente dietro ad una lepre, che da qualche decennio a questa parte è un automa montato su di un binario ai lati del cinodromo.
  6.  In questo caso si fa riferimento alla fuga dal trauma mutuata dall’idea di ideologia tracciata da Slavoj Zizek in L’oggetto sublime dell’ideologia, e all’aumento del consumo di farmaci psicoattivi nelle società avanzate, come Ritalin e Adderall che aiutano nell’orientamento a partire dalla confusione generata dal cyberspazio, oppure di Prozac e Zoloft per mitigare il senso di solitudine e disperazione. Per un report sui dati si veda i report annuali sul consumo di sostanze stilato dall’INCB (International Narcotic Control Board). http://www.incb.org/incb/en/publications/annual-reports/annual-report.html 

 

Bibliografia e videografia

  • Belting, H 2001, Antropologia delle immagini, Carocci, Roma, 2017.
  • Ferraris, M 2017, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, Roma.
  • Grusin, R 2010, Premediation: Affect and Mediality After 9/11, Palgrave, New York.
  • Magagnoli, P 2015, Documents of Utopia: The Politics of Experimental Documentary, Columbia University Press, New York.
  •  McLuhan, M 1964, Understanding Media: The Extensions of Man, MIT Press, Cambridge and London, 1994.
  • Parisi, L 2013, Contagious Architecture: Computation, Aesthetics, and Space, The MIT Press, Cambridge and London. 
  •  Perry, K e Marley, S “Chained To The Rhythm”, in Witness, Capitol Records, USA, 2017.
  • Steyerl, H 2011, “Documentary uncertainty”, Re-visiones, vol.1.
  • Volponi, P 1989, Le mosche del capitale, Einaudi, Milano.
  •  Zizek, S 1989, L’oggetto sublime dell’ideologia, Ponte alle Grazie, Firenze, 2014.